Omelie

Omelia della santa Messa – Medjugorje, 16 settembre 2019


Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao.
Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.
Parola del Signore.


Carissimi fratelli e sorelle, cari pellegrini, parrocchiani e voi tutti collegati con noi via internet, il Vangelo di oggi ci ha presentato uno dei miracoli di Gesù, cioè la guarigione del servo di un centurione. San Luca, in modo interessante e commovente, ci racconta come Gesù ha guarito il servo a Cafarnao.
Il centurione, volendo fare tutto il possibile per il servo che stava per morire, ha sentito che sarebbe passato da quelle parti Gesù e Gli manda il messaggero per invitarLo a guarirlo.

Al centro di questo brano del Vangelo non c’è la guarigione del servo del centurione, ma la fede del centurione che è da ammirare, anche se non apparteneva al popolo giudeo, ma era pagano. Questa fede è stata tanto apprezzata da Gesù al punto di dire: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande”.
Anche la Chiesa mostra la Sua ammirazione per tale fede e ripete la sua affermazione proprio prima della Comunione, infatti noi diciamo: “Non sono degno di partecipare alla Tua Mensa, ma dì soltanto una Parola ed io sarò salvato”.

Da dove viene tale fede al centurione che è pagano? Non gli è stata donata, ma è conquistata e provviene dalla sua umanità. Nonostante il fatto che fosse romano, pagano, straniero, era un uomo buono. La sua bontà è alla base della sua fede. Possiamo riconoscere la sua bontà dal rapporto che aveva verso il servo e verso il popolo che governava. Il centurione si prende cura della salute del suo servo. Avendo sentito parlare della grandezza di Gesù si rivolge a Lui, ma non per se stesso, bensì per il servo. Si prende cura di un uomo piccolo. Papa Francesco direbbe di un uomo “delle periferie”.
Tutto ciò ci mostra che si tratta di un uomo eccezionale. Si tratta di una persona che, nonostante appartenesse ad un’altra mentalità e ad un’altra società, era interessato al bene di ogni uomo. Per lui ogni uomo aveva la propria dignità per cui bisogna mostrare attenzione.
Si era comportato anche correttamente verso il popolo e la sua fede al punto tale che i capi dei sacerdoti, ai quali i romani erano indigesti, lo raccomandano a Gesù e dicono: “Egli merita che Tu gli conceda quello che chiede, perchè ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga”.

Il centurione ha rispetto del popolo che governa e ha apertura nei confronti dei bisogni. Non è uno che si eleva sugli altri, caratteristica degli invasori, ma è uno che rispetta gli altri e li aiuta in conformità alle sue possibilità. Su queste basi è potuta crescere una fede degna di ammirazione. Tale fede era difficile da trovare in Israele, ma anche nella Chiesa Stessa. Ecco perchè Gesù la ammira tanto.
La Chiesa propone la sua fede a tutti noi come modello. Ma dal centurione non dobbiamo prendere solo le parole; dobbiamo imparare come vivere la nostra fede. Da lui dobbiamo imparare la bontà e l’umanità.

Gesù esalta la sua fede per mostrarla alla gente di quell’epoca, ma anche a tutti noi. Gesù desidera insegnarci che non dobbiamo giudicare e condannare nessuno per il fatto di essere straniero, di non essere membro della nostra comunità e del nostro popolo. Non dobbiamo giudicare gli uomini secondo le loro origini, ma secondo ciò che fanno.
Anche san Paolo si ricollega a questo argomento. Nella sua lettera protegge la prima Chiesa che cresce tra i pagani.
Per il bene di tali Chiese lottava anche papa Cornelio, il santo di oggi.

Gesù ci insegna che la nostra fede, anche se è un dono che viene dall’alto, dobbiamo costruirla su un fondamento umano. Il fatto di essere buoni ci aiuta a far crescere la fede. La nostra fede non è cosa buona se viene trasformata in superstizione.
Ogni fede, sopratutto se basata su Gesù, prevede il rispetto del prossimo. Ma il rispetto và esteso a tutti gli uomini di altre nazioni, culture e religioni. La vera fede non è mai contro gli altri, ma si attiva per gli altri. La vera fede non può essere indifferente. Essa gioisce con le persone che gioiscono e compatisce coloro che sono colpiti da drammi esistenziali.

La vera fede si comprende nell’enciclica di papa Francesco “Laudato sii”. La fede non si può disinteressare del nostro pianeta e dei problemi ecologici. Il nostro pianeta adesso è il servo malato. E perchè? Perchè siamo stati padroni cattivi. Dobbiamo fare attenzione.

Fratelli e sorelle, potremmo fare un elenco infinito di ciò che è buono su cui dobbiamo costruire la nostra fede. Senza tali basi la fede è solamente un mezzo per tranquillizzare la nostra coscienza e non um mezzo per cambiare noi e ciò che ci sta attorno. La vera fede ha in sè questa capacità, come ci ha testimoniato il centurione romano con il suo esempio. Eppure la vera fede non si limita ad accontentare gli uomini. Se facessimo così non saremmo servi di Cristo. Bisogna piacere a Dio, come ci insegna san Paolo.

Cari fratelli e sorelle, il messaggio di Cristo è chiaro: non importa quante chiese o abitazioni abbiamo costruito; non importa quanta beneficenza abbiamo fatto. Ciò che importa è il nostro cuore. Quanto ci amiamo? Quanto amiamo il fratello, il vicino? Se vogliamo far felice Gesù.
Noi, come credenti, dobbiamo sforzarci di donarci sempre di più agli uomini. Più siamo disponibili verso gli altri e più rendiamo felice Gesù. Abbiamo tanti modelli. Ad esempio santa Madre teresa di Calcutta. Ma ci sono anche tanti benefattori di cui non si parla e di cui non si conosce il nome.
Cerchiamo di far felice Cristo ogni giorno della nostra vita.

Fratelli e sorelle, le chiamate del centurione, di Cornelio e Cipriano, desiderano dirci che oggi la Chiesa si costruisce non con il cemento, ma con il coraggio, con la fede e con la cura reciproca.

Amen.

Fonte:  (Registrazione di Flavio Deagostini)
(Trascrizione a cura di A. Bianco)

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